«Ammetto di aver parlato molto della tecnica. D'altra parte tutti coloro che hanno visto i miei film riconosceranno che per me la tecnica è un mezzo e non un fine e che il mio fine è sempre stato quello di far vivere allo spettatore un'esperienza che lo arricchisca interiormente. Amo profondamente la vita, tutti gli esseri veramente vivi. I miei film vogliono essere una serena meditazione sul grande mistero della vita» (Dreyer). Il libro parte dal presupposto che per comprendere la profondità e la ricchezza dei film del regista danese è di importanza fondamentale il contesto in cui è vissuto l'autore. È difficile per un artista raggiungere una visione e una conoscenza spirituale tanto profonda, come quella che troviamo nella Passion de Jeanne d'Arc, in Dies irae, in Ordet, senza l'appoggio di testi che diano conferma e chiarezza a quello che egli ha sentito e vissuto dentro di lui. Gli anni in cui Dreyer si dedica alla realizzazione della Passion de Jeanne d'Arc sono cruciali per il mondo del Nord Europa. Riflettendo sulla sua durissima vicenda esistenziale, sulla chiesa e sui gravi problemi del suo tempo, il regista si è soffermato sui passi più impegnativi e difficili della Scrittura, gli stessi che quattrocento anni prima avevano colpito il giovane Lutero, a lui accessibile grazie al dibattito che queste opere suscitavano a Copenaghen negli anni venti. Se La Passion de Jeanne d'Arc, Dies irae, Ordet si analizzano alla luce della conoscenza del contesto spirituale e storico in cui è vissuto l'autore, acquistano significato elementi del linguaggio filmico, a volte trascurati e in alcuni casi fraintesi, attraverso i quali il regista esprime la sua visione del mondo: il significato dell'esistenza, il ruolo della sofferenza, la scoperta attraverso il dolore di una verità più alta di quella quotidiana. È una ricerca fondamentale in ogni luogo e in ogni tempo, che oggi il nostro mondo tende a soffocare.