«Bisagno è per me storia, gioia, dolore, resistenza». Così Don Gallo affrontò il manoscritto di questo saggio, senza poterne finire la chiosa. Narra la storia idraulica, civile e politica del Bisagno, il fiume che i genovesi hanno condannato all'oblio. Fiorentini e romani, parigini e londinesi sono fieri della nobiltà dei loro grandi fiumi. Genova invece si vergogna del suo misero torrente, tanto da nasconderlo, dalla foce ai monti. Iniziò in sordina, seppellendo alcuni affluenti tra l'Ottocento e l'inizio del Novecento; edificò la foce negli anni trenta, quando era diventata Superba; e, verso la fine degli anni ottanta, fabbricò alla chetichella le piastre davanti alla stadio, a vera gloria del calcio nazionale. Continuando a incanalarlo nel cemento, coprirne gli affluenti e mandarne in malora i terrazzi, con una progressione pervicace quanto ostinata. Pagando un prezzo altissimo in vittime per le ricorrenti alluvioni: l'unica ribellione del fiume alla sua condanna. Dimenticando rapidamente i suoi morti, sempre innocenti. Spesso inconsapevoli. Attraverso la voce di coloro che dialogarono con il Bisagno, dal Giustiniani al Magnasco, da Lord Byron a Fabrizio De André, Edith Wharton e Mary Shelley, Genova si specchia nel suo fiume inquieto, mentre parallela scorre la malinconica vicenda del malgoverno dell'acqua e della difesa del suolo in Italia. Un testo scientifico rigoroso, ricco di argomenti tecnici; e, nello stesso tempo, un percorso emotivo e sentimentale di cronache personali e collettive. La storia di una città e di un paese che non hanno saputo convivere finora con la propria fragilità idrogeologica.
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