Capolavoro della letteratura del romitaggio, Ricordi di un eremo (Ho¯jo¯ki, 1212) narra della vita
in ritiro di Cho¯mei, dopo aver preso i voti col nome di Ren’in. Sorta di ideale «autobiografia», queste pagine non si fermano ai ricordi personali dell’autore, ma riescono a sintetizzare la complessa temperie culturale del momento, fase di transizione dal periodo Heian, dominato dalla vecchia società aristocratica, a quello Kamakura, contrassegnato dal potere dei militari. La realtà di un’epoca di convivenza e scontro tra valori vecchi e nuovi (l’urbanità cortese del passato, le aspirazioni religiose destinate a caratterizzare la cultura medievale) trova infatti riflesso nelle contrastanti visioni del testo, in cui si esprime il senso della fine di un mondo attraverso la rappresentazione del declino della capitale Heiankyo¯, e ancora il sogno di una via di scampo in seno alla natura intesa come un «altrove» non contaminato dalle miserie del presente, sia essa salvifica via d’accesso al Paradiso d’Occidente, o semplice rifugio contemplativo di uno spirito votato alle arti. Chiave d’accesso a ognuna di queste dimensioni, Ricordi di un eremo non ci permette solo di accostarci ad alcune coordinate essenziali alla comprensione culturale del medioevo nipponico, ma anche a una personalità letteraria che, profondamente affascinata dall’ambiguità della psiche, partecipa alla lucida esplorazione del proprio animo.