«Sembro provare odio», ha scritto Pasolini parlando di Roma, «e invece scrivo dei versi pieni di puntuale amore». È sulla scia di questo sentimento che Paolo Portoghesi ricostruisce il suo rapporto con la città eterna, scegliendo non a caso di includere nel titolo «Amor», palindromo di Roma e ritenuto per molto tempo il nome segreto della città. «Gettare un sasso nello stagno», scrive Portoghesi, «è sempre stato per me un gesto familiare e liberatorio. E i cerchi concentrici che si formano sulla superficie dell’acqua sono diventati forma simbolica nella mia architettura». È quanto si realizza anche in queste pagine: gettando un sasso nello stagno della memoria, l’autore dà vita a un viaggio che si sviluppa attraverso tre fondamentali dimensioni. Quella più intima, autobiografica, dagli schizzi giovanili di piazza Navona e delle opere di Borromini, all’esperienza al fianco di Ludovico Quaroni, Carlo Aymonino, Mario Ridolfi, Giulio Carlo Argan e Bruno Zevi, fino all’insegnamento universitario, agli incarichi istituzionali e alle attività più recenti. Quella professionale, tra sconfitte e successi, con progetti rimasti tali e altri portati a termine, come la Grande Moschea, il più esteso luogo di culto islamico in Europa, a pochi passi dal cuore della cristianità. Infine la dimensione onirica di una Roma immaginata e mai realizzata. Portoghesi getta nuova luce sul passato e le molte rinascite della «città della memoria», in un bilancio utile per affrontare le sfide di un futuro che non riguarda solo Roma, ma l’intero pianeta.