Nel suo libro più «politico», Peter Sloterdijk, filosofo tedesco le cui posizioni controverse sono sovente oggetto di dibattito, propone intuizioni mai banali per decifrare i cambiamenti che interessano le organizzazioni sociali e politiche.
Se in Critica della ragion cinica ricostruiva le derive del cinismo nella cultura occidentale, qui racconta culture e forme dell’ira, che da virtù nel mondo greco è diventata collante del risentimento moderno.
Attingendo alle teorie di pensatori come Friedrich Nietzsche, Alexandre Kojève, Leo Strauss e Francis Fukuyama ricostruisce il legame tra le dinamiche della psiche individuale e collettiva, risalendo così alle origini del percorso
che ha reso possibile l’eclissarsi del pensiero timotico. Da energia primitiva cantata da Omero e incarnata da Achille, attraverso numerose trasformazioni, l’ira diviene forza propulsiva gestita come capitale e bene spendibile,
accumulata in strutture assimilabili a vere e proprie «banche del risentimento», quali sono stati fino a poco tempo fa i partiti e i grandi movimenti ideologici.
Venute meno le principali istanze capaci di convogliare tale risentimento collettivo verso utopie rivoluzionarie o verso l’Aldilà delle religioni monoteiste, nulla sembra poter contenere l’ondata di conflitto che si manifesta negli scontri di piazza, nel disagio delle periferie urbane, nelle forme di emarginazione sociale, nelle organizzazioni terroristiche. Né si prospettano nuovi elementi capaci di produrre un’idea di mondo che si faccia progetto.
Con la potenza di un discorso articolato in potenti metafore, Sloterdijk avanza un’affascinante ipotesi su un antico e modernissimo enigma.