Gorizia, 1910. Un ragazzo ventitreenne si uccide con un colpo di rivoltella alla tempia nella casa paterna. È Carlo Michelstaedter che, a cento anni di distanza, verrà riconosciuto come un genio e salutato come precursore di Heidegger in filosofia, di Wittgenstein nella critica del linguaggio, di Derrida nell’ermeneutica.
All’epoca del tragico gesto studente all’Università di Firenze, ne seguiamo le vicende scoprendo gradualmente le verità che hanno modellato la sua personalità controversa: dal rapporto conflittuale con il padre alla ricerca disperata del successo, dall’entusiasmo dell’adolescenza ai continui riferimenti al suicidio che ricorrono nella sua corrispondenza.
Si delinea così la figura di un giovane intellettuale appassionato di Carducci, D’Annunzio, Ibsen, Beethoven, immerso nel clima culturale della Firenze del primo Novecento, che prova a farsi strada attraverso gli scritti, le caricature dissacranti, la conoscenza del greco e del tedesco. «Una festa dell’intelligenza» che Sergio Campailla, biografo e curatore delle opere, celebra in queste pagine rese vive dalle testimonianze di un’epoca e di una generazione. Elementi inediti emergono dalla sapiente esplorazione delle radici ebraiche di Michelstaedter, gettando nuova luce su un autore che vive profondamente i contrasti dei suoi anni e sviluppa uno sguardo critico sulle dinamiche che la storia, personale e politica, è capace di innescare.