In questo libro Antonio Franchini intreccia le sue due grandi passioni, il combattimento e la letteratura, e si scopre, fra l’altro, che il combattimento non è solo “corpo” e la letteratura non è solo “spirito”, e che entrambi sono un continuo, appassionato scontro con il proprio limite. Perché sia le discipline che insegnano a incrementare la forza fisica sia quelle volte ad allargare il patrimonio culturale non nascondono un analogo destino di sopraffazione, due volontà di potenza tra cui è difficile istituire una gerarchia. Alternando a brevi riflessioni i ricordi e le esperienze, mescolando le tracce lasciate da una gioventù trascorsa in scantinati e palestre a un’assidua frequentazione della pagina scritta, l’autore ci racconta storie di giovani uomini e di grandi maestri, di orgoglio e di frustrazione, di eroismo e di umiltà, eventi piccoli e grandi accomunati da una tensione a scoprirsi e a capire, oltre la patina che spesso ricopre il senso profondo delle cose, oltre le zone di dubbio, di convenzione, di vera e propria falsità. Gli incontri che facciamo seguendo il doppio tracciato delle arti marziali e della letteratura sono singolari e tutti ugualmente importanti, da Simone, «ragazzo dall’aria distratta, con una sua evasiva bellezza» a cui bisogna dire solo «vai e fai vedere a questa gente cos’è la Savate», a Claudio, grande filologo classico e sollevatore di pesi, al grande maestro di spada Miyamoto Musashi, vissuto nel periodo Edo, a Hemingway, a Mishima, fino all’omonimo parente diventato eroe. E singolare è anche il fatto che questo libro, in cui il tema dell’aggressività, della lotta e in fondo anche della morte ricorre con tanta forza, sia stato scritto da un autore che fa parte della prima generazione nata e cresciuta senza vedere guerre.