Esito, ovviamente sempre imperfetto, della libera interazione di milioni di individui, sorgente ultima di ogni innovazione, unica palestra possibile per la libertà degli esseri umani, il mercato siamo noi. In quest’ottica Alberto Mingardi descrive gli attori che lo animano e mette in luce tutti gli errori concettuali e i pericoli di regole asfissianti, tessendo un elogio appassionato della libera contrattazione, quell’«economia della sorpresa» da cui nascono il progresso tecnologico, il benessere della società, l’evoluzione della civiltà. Ostacolare o limitare la libertà del mercato significa infatti togliere alle persone la possibilità di manifestare la loro libertà di farsi scegliere, e ha un costo implicito: sono i prodotti e i servizi che non potremo sperimentare, che a nostra volta non ci sarà dato di poter scegliere. Lasciare spazio all’imprevisto, invece, rende. Ma ha un prezzo: «rinunciare alle spiegazioni semplificanti, al divorante bisogno di un ordine sovrimposto che abbia il pregio di risultarci immediatamente chiaro sulla carta. La chiarezza del progetto non garantisce la bellezza dell’esito. Ci sono più cose in cielo e in terra, e per fortuna».