Il Partito radicale è stato un caso unico della nostra storia politica. Una volta preso in mano e rinnovato dal gruppo dei giovani di sinistra che comprendeva, tra gli altri, Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia e Giuliano Rendi, ha saputo fare tesoro dei suoi paradossi e delle sue contraddizioni: liberale ma ispirato al socialismo, convintamente nonviolento, contrario a ogni limite posto all’autodeterminazione dell’individuo ma sostenitore del ruolo fondamentale delle istituzioni, libertario ma guidato da un leader carismatico, estraneo alle logiche di spartizione dei partiti ma immerso nella vita e nei conflitti del Palazzo e della Piazza. Lucia Bonfreschi, studiosa della storia politica europea del Novecento, ripercorre battaglie, errori e successi che hanno portato questa formazione a essere identificata come il «partito dei diritti». Nel periodo tragico e rivoluzionario che l’Italia attraversa tra gli anni sessanta e ottanta, i radicali si affermano infatti come una delle forze allo stesso tempo più coerenti e aliene alle dinamiche del nostro paese: con l’obiettivo di scardinare l’immobilismo di una nazione ancora legata alle sue radici cattoliche e popolari, il partito guidato da Marco Pannella riesce a canalizzare le spinte sociali di istanze laiche e secolarizzanti, parte del femminismo, dell’ambientalismo, dell’antimilitarismo e della disobbedienza civile in risultati concreti, grazie a battaglie che introducono nella nostra legislazione i diritti di divorzio, obiezione di coscienza, aborto. Finita la stagione dei movimenti, questa spinta riformatrice continuerà, tra provocazioni, candidature scandalose (Toni Negri e Ilona Staller) e nuove lotte contro la partitocrazia e il proibizionismo.