André Gide (1869-1951) è stato un’apparizione unica nel panorama della cultura europea a cavallo tra xix e xx secolo. Di quell’epoca di transizione è stato un sensibilissimo rivelatore, mescolando inestricabilmente vita e opere in un inconfondibile impasto di idealismo e materialismo, devozione e miscredenza, trascendenza e degrado. Allevato secondo i precetti del calvinismo paterno e del cattolicesimo materno, nel suo sviluppo umano e artistico non si è limitato a una banale ribellione a tali rigidi, nativi presupposti, ma ha ostinatamente tentato una
coincidentia oppositorum dove l’un estremo non negava mai l’altro, senza mai concedersi interamente allo spirito del tempo quale che fosse il suo effimero vessillo: spiritualismo, nichilismo, immoralismo, comunismo. Opere narrative, diaristiche, reportage vanno così a comporre il quadro di una psicologia di sconcertante complessità, consapevolmente rapsodica e contraddittoria, nella quale il rischio dell’eclettismo è scampato grazie a una sintesi lirica, non meccanica, di tutte le influenze culturali e gli eterogenei materiali assimilati, sintesi che riflette la fondamentale unità della sua coscienza artistica.