l nome delle casate nemiche - i Capuleti, i Montecchi - risuona per la prima volta nei versi di Dante (Purgatorio VI, 105). Ma è solo con la novella di Luigi Da Porto che su questi due nomi si innesta la vicenda tragica destinata a trasformarsi in mito: l’odio dei padri si incrocia in modo funesto con l’amore che nasce tra i figli e, complici avverse stelle, porta a morte e rovina.
Dopo Da Porto, i due amanti veronesi si ripresentano più volte nell’immaginario, in tempi e luoghi assai diversi. Ma in queste loro epifanie e metamorfosi, a sorreggerli è soprattutto l’intransigenza della
passione, la risolutezza nell’affrontare la morte. Non le parole. Le parole iniziano con Shakespeare, con Shakespeare si entra nel mondo della poesia.
E come i due giovani vengono strappati alla realtà e proiettati in un mondo “altro”, di incanto e d’amore, così il lettore viene trascinato dall’energia dislocante della parola poetica e sente crescere nel profondo del cuore i sentimenti e l’emozione.
Anche gli innocenti innamorati della novella di Gottfried Keller soccomberanno allo scontro fra mondi diversi. Ma per il Romeo e la Giulietta di paese, simili in questo più alle anonime vittime della storia che agli eroi shakespeariani, non vi sarà assoluzione, non vi sarà riscatto. Le aporie non saranno ricomposte e sulla memoria del loro sacrificio continuerà a pesare solamente la condanna dei padri.