In quarant’anni come corrispondente dall’estero per seguire da vicino guerre e crisi tra le più drammatiche, Robert Kaplan ha imparato a leggere i fenomeni geopolitici individuando punti forti e deboli di strategie e previsioni. Oggi, consapevole che «la tragedia, su cui si basa ogni realismo, è più una sensibilità che una teoria», invita ad adottare il «pensiero tragico», un’attitudine mentale che consenta di orientarsi in un mondo che sembra aver perso qualsiasi riferimento. Rileggendo i classici dell’antica Grecia e le opere di Shakespeare, attingendo alle esperienze dei regimi dittatoriali e alla diretta osservazione dell’Iraq di Saddam Hussein e della Romania di Nicolae Ceaușescu, si misura con la sfida di tradurre il mito in realtà quotidiana, non esaltando virtù eroiche, ma accettando le prove dell’esistenza. Analizza quindi l’ambizione umana, mettendone in luce aspetti positivi e negativi, e ripercorre le vicende americane nei conflitti più o meno recenti, esortando a non cedere all’oblio della storia, e a considerare come dare per scontata la sopravvivenza abbia condotto a muoversi sulla scorta di astratti ideali, senza tenere conto a sufficienza della realtà. Mostrando che la tragedia non è fatalismo o disperazione, ma profonda comprensione delle dinamiche che influenzano leader ed eserciti, l’autore riflette su quanto l’essere umano sia davvero libero e in che misura invece la libertà si riveli spesso un’illusione, nel confronto con la gamma ristretta di scelte a disposizione. La variabile fondamentale rimane il tempo che accompagna l’evoluzione dello sguardo: se da giovani l’intelligenza spinge a cambiare il mondo, la saggezza che viene dall’esperienza e dalla coscienza dei limiti impone di cambiare se stessi.