A distanza di tre decenni fatichiamo ancora a inquadrare la stagione di Tangentopoli e in che misura abbia creato l’incerto presente politico che viviamo. Se è vero che, come scrive Filippo Facci, «non aveva mai attecchito un vero senso dello Stato», da che cosa ebbe origine il clamore intorno a un’indagine che, in apparenza partita da un comune caso di corruzione, ha cambiato per sempre l’immaginario della nazione? All’epoca giovane cronista, l’autore ha seguito le tracce e le crepe prodotte da quel terremoto, scavando nelle versioni improbabili – la favola del magistrato onesto che smaschera i corrotti, l’epurazione delle mele marce – e in altre non meno improbabili e complottiste legate a scenari internazionali. Dal suo lavoro emergono oggi risvolti inaspettati che si ricollegano a eventi e fenomeni vicini e lontani.
Tra narrazione storica e racconto privato, Facci fornisce una testimonianza d’eccezione, riannodando i fili della memoria e mettendo a fuoco il ruolo di protagonisti e comprimari. Rimuovendo ogni patina di ipocrisia, restituisce così un impietoso ritratto del paese che siamo stati e che forse siamo ancora.