La morte a Venezia, sostiene Mario Isnenghi, è un fecondo genere letterario, ma, se usato come criterio di verità storica, diventa un veleno mortifero, altra faccia della consuetudine tutta italiana all’autodenigrazione.
Dopo aver dato conto delle origini letterarie del cliché che ha trasformato la città da luogo del buon governo a trionfo di una narrazione declinista, l’autore recupera dalla memoria eventi, luoghi, personaggi e vicende oscurate dalle grandi gesta, come prove della vitalità di una Venezia protagonista a livello europeo e mondiale. Inizia così una «scorribanda» tra Otto e Novecento, attraverso le imprese di idrovolanti e dirigibili, salotti animati da donne illuminate ed emancipate, stabilimenti termali e una inedita concorrenza ferroviaria con Milano, tra figure note – Riccardo Selvatico, Margherita Grassini Sarfatti, Giuseppe Volpi e Gabriele D’Annunzio, veneziano d’elezione – e meno in luce ma altrettanto decisive – dall’«inventore del Lido», Giovanni Busetto detto Fisola, a Giuseppe Turcato, «custode della Resistenza».