«E allora, dicono, visto che la dosatura degli ormoni fa il carattere dell’individuo, [...] la responsabilità individuale diviene di molto ma di molto “irresponsabilizzata”». In risposta al determinismo cui indurrebbero studi fisiologici ed endocrinologici, nel romanzo La Grazia Dino Terra affronta il «vetusto e barbosissimo, inquietante problema dell’umana libertà» e responsabilità.
A partire da un plot caratteristico – Giulia Bentoia, moglie annoiata, stringe una relazione adulterina con l’architetto Guido –, l’opera assume presto un’aura tra realistico e fiabesco. Si innestano infatti nella trama le scorribande terrestri e acquatiche di altre creature, tre divinità: Ebe, Iftima e Aleissiar. Complici l’azzardo degli amanti e un ladro notturno alla porta, le tre Grazie, «innocenti com’è innocente l’aguzza lama che sventra», imprimeranno una svolta all’apparente, sonnolento vivere dei Bentoia e dei vicini.
Con levità e fine introspezione psicologica, Terra segue la spirale di imprevedibili eventi. Il senso del limite e la poeticità della follia di chi questo limite oltrepassa sono motivi chiave di un romanzo di forte sapore teatrale e dove potente generatore di ambiguità è il titolo, nella polisemia recata in sé dal concetto di Grazia.