Oltre ad aver indossato molte maschere, Curzio Malaparte ha scritto diversi libri. Tre di questi – Kaputt, La pelle, Il ballo al Kremlino – si assomigliano più degli altri. Almeno se, osservandoli da vicino, si riconoscono la struttura prismatica e le stratificazioni illusionistiche che li rendono un’esperienza letteraria inassimilabile al resto del Novecento italiano. Pannelli di un’ipotetica trilogia incompiuta, questi romanzi raccontano le «meravigliose avventure del disfacimento» dell’Europa dalla fine degli anni venti alla prima metà degli anni quaranta, trasfigurando il dramma storico di un intero continente nel suo rovescio mitico e metamorfico. Ma testimoniano anche il paradossale modernismo di una figura antimoderna che, attraverso una prosa rapsodica, ha esplorato il legame tra finzione romanzesca e ossessione per la morte. Questo libro affronta la radicalità e i limiti dell’arte malapartiana, per suggerire tra le righe che Malaparte è ancora uno dei pochi scrittori in grado di penetrare il tessuto della realtà per capovolgerlo, smembrarlo e costringerci poi a decidere cosa fare coi pezzi che ne rimangono.