Mezzo secolo separa il primo lungometraggio per il cinema di Gianni Amelio, Colpire al cuore (1983), dal più recente, Campo di battaglia (2024), lungo un percorso che comprende gli esperimenti televisivi per la Rai degli anni settanta – a cominciare da La fine del gioco (1970) –, quindi i cortometraggi, i documentari, i romanzi e tutti gli altri preziosi tasselli di un puzzle fitto dove le domande contano più delle risposte, il richiamo a un magistero vigile e nonviolento si fa scelta di campo rigorosa, pedagogia meditata e pungolo intransigente. Più di cinquant’anni di cinema nell’accezione lata e polivalente hanno consentito all’autore calabrese di portare in dote a più riprese il fardello dell’infanzia, l’ansia dell’adolescenza e lo scotto dell’età adulta, categorie inseparabili, contigue, conflittuali e dissolventi l’una nell’altra. Donde il successo internazionale ottenuto con Il ladro di bambini (1992), Grand Prix della Giuria al Festival di Cannes, e quello di Così ridevano (1998), Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, film spartiacque con la produzione successiva degli anni duemila, in questo volume appositamente messa in risalto anche con una “lista” di film altrui stilata da Amelio, consapevole come sempre di un percorso di crescita creativa che l’ha portato senza indugi al di fuori della sua stessa zona di comfort consolidata. Un cinema, il suo, che interroga costantemente e con ostinazione lo spettatore sullo statuto delle immagini, la storia più recente e controversa del nostro Paese, i corsi e ricorsi di una drammatica e pericolosa partita, plurisecolare e impegnativa. Un’opera e uno stile inconfondibili che si sviluppano mediante una perpetua riscrittura ed evoluzione, dentro un principio di coerenza inalienabile, e chiamano in causa la funzione stessa dello sguardo, il mezzo tecnico e i fantasmi della coscienza, la forma e la sostanza della rappresentazione.