Persefone
Una fanciulla di stirpe divina, figlia di Zeus e Demetra, gioca tra i fiori nei verdi prati di Enna. All'improvviso si spalanca la terra e un essere sconosciuto emerge da ignoti recessi: è il fratello di Zeus, anch'esso un dio, ma dio degli inferi cui è toccato in sorte di regnare sui morti, confinato nelle tenebre eterne. È la favola della vita e della morte, fissata fin dai primordi nel gesto violento con cui Plutone afferra Persefone, nel terrore della fanciulla che distoglie da lui lo sguardo e il volto, nella disperazione della madre Demetra per una perdita che intuisce definitiva, irrimediabile. Il rifiuto di morire è al centro di questa leggenda, appena mitigato dalla mediazione di un tempo diviso (metà dell'anno tra i vivi e l'altra metà tra i morti; così Omero, Ovidio, Claudiano), dal tentativo di addolcire l'immagine di Plutone ipotizzando un legame di amore-passione condiviso con la sposa rapita (Marino) - ma sostanzialmente tendente sempre più al pessimismo e alla negazione di fronte al fato irreversibile (Goethe, Swinburne, Tennyson, Ritsos). Così Persefone, simbolo eterno della fragilità umana, rimane per sempre al limite, sospesa nella ambigua zona di confine che separa la ridente prateria siciliana dai terrificanti abissi del nulla.

Autori

(gr. ῎Ομηρος, lat. Homērus). - Gli antichi attribuivano l'Iliade e l'Odissea (e molti altri poemi) a un poeta di nome O.; di lui, però, non sapevano nulla che non fosse leggenda. Le Vite di O. a noi giunte (una delle quali attribuita falsamente a Erodoto) sono in realtà romanzi; come è romanzesco il Certame di O. ed Esiodo, racconto di una gara tra i due poeti, giunto a noi in una redazione tarda, ma che ha fondamenti forse risalenti al 6° sec. a. C. Il nome, assai discusso e variamente interpretato fin dall'antichità, è probabilmente nome greco, che significa "ostaggio". Molte città antiche pretendevano di aver dato i natali al poeta: Smirne, Chio, Cuma eolica, Pilo, Itaca, Argo, Atene. A Chio esisteva in età storica una famiglia di poeti (gli Omeridi), che si trasmetteva la professione di rapsodo; ma probabilmente la tradizione della nascita di O. a Chio ebbe origine dall'Inno ad Apollo Delio, dove il poeta chiama sé stesso "il cieco che abita nella rocciosa Chio". L'attribuzione degli Inni a O. è certamente errata, quindi la tradizione perde valore. Anche la nascita a Smirne, considerata assai probabile dagli antichi (e anche da molti moderni), non è meglio documentata. Le vicende della vita del poeta sono ignote: tutto quel che è lecito congetturare è che O. sia stato cantore alla corte di un principe della Troade che si vantava di discendere da Enea, come proverebbe la profezia, contenuta nel libro 20° dell'Iliade, che nella Troade avrebbero in seguito regnato i discendenti di Enea.
nasce a Sulmona nel 43 a.C. Compie la sua educazione a Roma dove frequenta il circolo letterario di Valerio Messalla Corvino, ed è amico di Properzio e di Orazio. Nell’8 d.C. è esiliato, per decreto di Augusto, a Tomi, sul Mar Nero: misteriose e mai chiarite restano le cause di questa durissima pena. Muore a Tomi nel 17 d.C. Ha scritto i poemi: Amori, Eroidi, Arte d’amare, Rimedi contro l’amore, I cosmetici delle donne, Metamorfosi, Fasti, Tristezze, Lettere dal Ponto.
(Monemvasià, 1909 - Atene, 1990) è stato un importante poeta greco. A causa della sua militanza comunista è stato più volte perseguitato e molte delle sue opere sono state realizzate nei periodi di detenzione che ha dovuto scontare durante la rioccupazione britannica al termine della seconda guerra mondiale e sotto la dittatura dei colonnelli. Esempio della sua produzione da prigioniero sono le opere Tempo di pietra, Lettera a Joliot-Curie, I quartieri del mondo, Il fiume e noi, La veglia e Corridoio e scala.