Da tempo immemorabile ha pesato sulla recezione del cinema un vago pregiudizio che imponeva al cinema stesso di essere un derivato: della narrativa, dell'epica o del dramma. L'arte dei suoni e dei rumori collegati al cinema è stata di volta in volta oggetto di ammirazione o di critica (come accadde a Bresson) valutando i risultati di rafforzamento del dettato cinematografico (come intensificazione sincronica, o scontro a-sincronico) conseguente alla presenza, evidenza, preponderanza, discrezione, abuso, trucco, effettistica ecc. dei cosiddetti «commenti musicali», divenuti poi, con un carico metaforico ingombrante, «colonne sonore». L'autore si propone un rovesciamento di ottica per riconsiderare molte abitudini di recezione, indagare essenziali ascendenze 'musicali' del cinema, individuare testimonianze a favore di una interpretazione del cinema come momento evolutivo di alcune poetiche musicali poi precipitate in stato di crisi e di estenuazione della loro potenzialità comunicativa. Questo esperimento è presente nel volume in alcune campionature circoscritte a materiali settecenteschi (Barry Lyndon, Casanova, Jacques le fataliste, Orfeo di Gluck).