Prometeo

Prometeo

a cura di

pp. 240, 1° ed.
978-88-317-1022-0
Il Prometeo incatenato di Eschilo è forse la tragedia che ha conosciuto più larga, più durevole fortuna nella storia della cultura europea: in essa l'eroe che ha donato agli uomini il fuoco rubato agli dei, e con esso l'intelligenza e la pratica del vivere civile, è rappresentato nell'atroce immobilità della punizione che Zeus gli ha inflitto e nella sua irriducibile opposizione all'ordine che gli è stato imposto. Di Prometeo, Goethe illumina il conflitto con il potere dispotico di Dio, l'orgoglio e la solitudine creativa e riottosa della sfida. Shelley approfondisce il conflitto, lo esaspera fino a concluderlo con la detronizzazione di Zeus, che sola potrà restituire a Prometeo la libertà. Gide, in una audace "variazione", insiste sulla liberazione dalle regole, e innesta nel suo Prometeo, che «ama ciò che lo divora», le suggestioni della psicanalisi. Pavese, infine, nella riscrittura forse più intensa e tagliente del mito, ricorda a Eracle che tutti gli uomini hanno una rupe, e che «i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t'incutono». Mito cruciale nella riflessione sul rapporto tra divino e umano, Prometeo è figura della generosità e della ribellione, dell'infrazione dell'ordine divino e della fatale commistione fra umanità e divinità. Ma, anche, un esempio straordinario della vitalità dei testi classici, della durevolezza e della molteplicità delle possibili variazioni sul mito.

Autori

nasce a Eleusi nel 525 a.C., da nobile famiglia. Della sua vita, come di quella degli altri grandi tragici greci, Sofocle ed Euripide, si sa molto poco. Fu accusato di aver divulgato i misteri eleusini, di cui era seguace. Partecipò alle guerre persiane contro Dario e contro Serse. Fu alla corte di Ierone di Siracusa. Morì a Gela nel 456-455 in circostanze misteriose. Delle novanta tragedie che gli vengono attribuite dagli antichi, solo sette sono sopravvissute: Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi), Prometeo incatenato. L’Orestea è l’unica trilogia completa di tutta la produzione tragica greca.
 (1869-1951) è stata un’apparizione unica nel panorama della cultura europea a cavallo tra xix e xx secolo. Di quell’epoca di transizione è stato un sensibilissimo rivelatore, mescolando inestricabilmente vita e opere in un inconfondibile impasto di idealismo e materialismo, devozione e miscredenza, trascendenza e degrado. Allevato secondo i precetti del calvinismo paterno e del cattolicesimo materno, nel suo sviluppo umano e artistico non si è limitato a una banale ribellione a tali rigidi, nativi presupposti, ma ha ostinatamente tentato una coincidentia oppositorum dove l’un estremo non negava mai l’altro, senza mai concedersi interamente allo spirito del tempo quale che fosse il suo effimero vessillo: spiritualismo, nichilismo, immoralismo, comunismo. Opere narrative, diaristiche, reportage vanno così a comporre il quadro di una psicologia di sconcertante complessità, consapevolmente rapsodica e contradditoria, nella quale il rischio dell’eclettismo è scampato grazie a una sintesi lirica, non meccanica, di tutte le influenze culturali e gli eterogenei materiali assimilati, sintesi che riflette la fondamentale unità della sua coscienza artistica.