I morti

I morti

a cura di

pp. 184, 2° ed.
978-88-317-1105-0
Racconto conclusivo e momento epifanico dell'intera raccolta Gente di Dublino, I morti è divenuto un objet de culte a sé stante della narrativa breve novecentesca. Come nei quattordici racconti che lo precedono, è Dublino la vera protagonista, impietosamente e dolorosamente rappresentata nella paralisi culturale e morale dei suoi abitanti e nella fissità claustrofobica dei suoi rituali, dei suoi ideali e dei suoi simboli asfittici. Ed è appunto il più simbolico dei rituali - la tradizionale festa natalizia delle signorine Morkan - che fa da cornice al racconto: una "natura morta" splendidamente dipinta nel dettagliato resoconto degli arrivi e partenze, nell'inventario minuzioso di cibi e bevande, nell'annuncio gridato delle figure della quadriglia e nelle ridondanti formule di benvenuto e commiato che aprono e chiudono la festa. Officiante supremo del rito è Gabriel Conroy, maschera di Joyce, che si muove insofferente e impacciato tra sussiego e disagio, autocompiacimento e insicurezza, alla ricerca di conferme di una identità traballante sul vuoto vertiginoso della propria paralisi e del proprio fallimento interiore. Fino allo struggente e ambiguo finale, quando percepisce nel turbamento improvviso e nella distanza di sua moglie Gretta la presenza di un fantasma del passato e di una frattura tra loro, sempre esistita sotto la superficie dorata del grande amore e della famiglia felice. È il momento di una dolorosa agnizione, e dell'incontro con i Morti - i morti che tornano a minacciare il presente e i morti-vivi del presente, raggelati nelle loro sterili rappresentazioni. Immagini del limite, figure effimere e fluttuanti come i fiocchi di neve che nella notte ricoprono Dublino, l'Irlanda tutta, con i suoi vivi e con i suoi morti.

Autore

(Dublino 1882 - Zurigo 1941), lo scrittore "modernista" per eccellenza, ha rivoluzionato con Ulisse (1922) il romanzo tradizionale, inaugurando al contempo la stagione dell'antiromanzo postmoderno. Ma già Gente di Dublino (1914) e Dedalo. Ritratto dell'artista da giovane (1916) presentavano grandi innovazioni sia tematiche, sia stilistico-retoriche, nei confronti del genere racconto/novella, e del "romanzo di formazione". Dopo aver rinnegato patria, famiglia e religione, e scelto un volontario esilio in Europa - prima l'Italia, poi Svizzera e Francia - non riuscirà mai a superare i traumi di quel distacco, inondando la sua produzione di inequivocabili riflessi autobiografici: Stephen Dedalus, Leopold Bloom, Gabriel Conroy protagonista de I morti, nonché Richard Rowan del dramma Esuli (1918), sono tutti spostamenti immaginari del suo "io". Punto fermo e nevralgico della sua esperienza di uomo e di scrittore sarà sempre la affascinante, conturbante compagna/moglie Nora Barnacle, modello di eterno femminino che si snoda per le pagine joyciane, attraverso la Gretta de I morti, la Bertha di Esuli, la indimenticabile Molly di Ulisse, fino alla summa filosofica, teologica, estetica di Anna Livia Plurabelle nel testo più ambiguo, e per molti lettori tuttora incomprensibile, La veglia di Finnegan, il cosiddetto Lavoro in corso, che gli occupò gli ultimi decenni di vita.