James Joyce (Dublino 1882 - Zurigo 1941), lo scrittore "modernista" per eccellenza, ha rivoluzionato con
Ulisse (1922) il romanzo tradizionale, inaugurando al contempo la stagione dell'antiromanzo postmoderno. Ma già
Gente di Dublino (1914) e
Dedalo. Ritratto dell'artista da giovane (1916) presentavano grandi innovazioni sia tematiche, sia stilistico-retoriche, nei confronti del genere racconto/novella, e del "romanzo di formazione". Dopo aver rinnegato patria, famiglia e religione, e scelto un volontario esilio in Europa - prima l'Italia, poi Svizzera e Francia - non riuscirà mai a superare i traumi di quel distacco, inondando la sua produzione di inequivocabili riflessi autobiografici: Stephen Dedalus, Leopold Bloom, Gabriel Conroy protagonista de
I morti, nonché Richard Rowan del dramma
Esuli (1918), sono tutti spostamenti immaginari del suo "io". Punto fermo e nevralgico della sua esperienza di uomo e di scrittore sarà sempre la affascinante, conturbante compagna/moglie Nora Barnacle, modello di eterno femminino che si snoda per le pagine joyciane, attraverso la Gretta de
I morti, la Bertha di
Esuli, la indimenticabile Molly di
Ulisse, fino alla summa filosofica, teologica, estetica di Anna Livia Plurabelle nel testo più ambiguo, e per molti lettori tuttora incomprensibile,
La veglia di Finnegan, il cosiddetto
Lavoro in corso, che gli occupò gli ultimi decenni di vita.