Da bambino è scappato dalla scuola materna. Da liceale si è tuffato in Adige per recuperare un pallone. Da programmatore ha avviato una centrale idroelettrica nel Bangladesh. Da consigliere comunale ha portato una tigre al guinzaglio in municipio. Da sindaco di Verona ha esordito sostituendo il ritratto ufficiale di Giorgio Napolitano con quelli di Benedetto XVI e di Sandro Pertini. Per anni Flavio Tosi, il primo cittadino più popolare d’Italia ma anche l’unico condannato per istigazione all’odio razziale, ha fatto parlare di sé con le sue stravaganze: la proposta di un’entrata separata sui bus per gli immigrati, le multe ai clienti delle prostitute e dei vu cumprà e ai turisti che mangiano panini, le querele a raffica contro giornalisti e intellettuali. Poi la svolta: l’incontro di pace col capo dello Stato, le ripetute richieste di dimissioni rivolte a Silvio Berlusconi, le ospitate quasi quotidiane nei talk show, l’obolo a Michele Santoro perché potesse continuare il suo programma. Ma soprattutto una lotta serrata e solitaria contro la deriva che alla fine ha travolto Umberto Bossi e il suo “cerchio magico”, i quali hanno cercato in tutti i modi di espellerlo dalla Lega. Davide ha vinto contro Golia. E ora, forte del voto plebiscitario con cui i veronesi gli hanno rinnovato la fiducia per la seconda volta, punta dritto al cuore del potere lumbard. Qui Flavio Tosi, il sindaco che fa stipendiare il suo autista dal Carroccio, non indossa mai la cravatta, si rade ogni sette giorni e chiede agli amici giacche e pneumatici come regali di compleanno, racconta per la prima volta la verità su di sé, sulla politica, sulla Lega, sulle accuse che gli sono state rivolte, sul modo di governare e su una moglie che non voleva votare per lui.