Agli albori della Seconda Repubblica era radicata la convinzione di vivere una svolta epocale: dopo la «democrazia bloccata» sarebbe arrivata la «democrazia dell'alternanza», dopo la «repubblica dei partiti» la «repubblica dei cittadini». Così non è stato. A vent'anni di distanza scopriamo che la democrazia non si è affatto compiuta, che la corruzione non è stata debellata, che la crescita si è addirittura rivoltata in recessione. Cosa non ha funzionato? Per rispondere a questa domanda - sostiene Roberto Chiarini - è utile tornare alle origini della Repubblica, alla ricerca di quei tratti genetici che, se nell'immediato hanno consentito di creare dal nulla le basi di una democrazia industriale di massa, nel lungo periodo ne hanno fatto emergere gravi disfunzioni. Il libro si sofferma sulla nascita della nostra democrazia, mettendone in evidenza alcuni tratti originali. Primo: manca da sempre un «accordo sui fondamenti», per cui il gioco politico si sviluppa costretto tra due opzioni delegittimanti estreme, l'antifascismo e l'anticomunismo. Secondo: destra e sinistra sono state (a diverso titolo e con modalità differenti) sì protagoniste, ma incapaci di avanzare una propria candidatura autonoma alla guida del Paese. Terzo: resiste nel tempo una difficoltà strutturale a risolvere la stridente asimmetria esistente tra «paese reale» e «paese legale», tra una società politica connotata da una presenza culturalmente egemonica della sinistra e una società civile che funge da sotterraneo contrappeso, destinato a bloccare ogni possibile svolta politica in senso progressista. Una lettura inedita, che costringe a ripensare il passato per aprire le porte del futuro.