Sono chiamati con disprezzo «topi di biblioteca» e ogni lingua del mondo ha il suo bel corrispondente («vermi», «tarme» e via di seguito) per denigrarli come uomini e per irriderli come studiosi. Eppure l’opera certosina degli eruditi del Settecento, un’epoca forse ineguagliata per l’eclettismo delle ricerche e per la quantità inesausta degli scambi, tra scavi e scoperte, fra dialoghi produttivi e aspre polemiche, resta uno snodo fondamentale nella cultura europea. È in quel lavoro umile ma intenso, ingrato ma ineludibile, capillare ma ecumenico che vengono poste le fondamenta intellettuali di uno sviluppo «illuminato» che cambierà gli orientamenti della ricerca e, di riflesso, le modalità e le acquisizioni della conoscenza (oltre che, s’intende, le condizioni stesse della società). Questo libro indaga in particolare il settore storico-letterario delle esplorazioni erudite, toccando da vicino la genesi delle prime storie letterarie italiane e temi «politici» come l’idea della «patria» e la strenua e ostinata difesa dei valori «nazionali». Si muove insomma sul terreno vasto e fertile del «savoir utile» che, faticosamente dissodato, e poi seminato, vedrà subito nascere opere importanti, come il Giorno di Parini, e più in generale nutrirà generosamente le grandi riforme economiche, giuridiche, sociali e culturali avviate in Europa e in Italia negli anni del «Caffè».