Pier Paolo Pasolini sviluppò precocemente il suo interesse per l'educazione dell'individuo e della collettività, individuando in quell'impegno la missione di civiltà della sua generazione e il mandato specifico dell'intellettuale. In un incandescente crogiuolo che fondeva la tensione etico-politica, la competenza culturale e la stessa pulsione erotica da sublimare in passione ascetica del dono maieutico, questo slancio pedagogico ebbe modo di esplicitarsi fin dagli anni friulani, quando egli animò originali pratiche di scuola alternativa e attiva, corredata anche da pionieristici esperimenti di animazione teatrale e corroborata da collaterali riflessioni teoriche. Ma anche dopo il 1949, con l'abbandono forzato dell'insegnamento a seguito dello scandalo di Ramuscello, il didatta Pasolini fu sempre in prima linea, nel fuoco di una militanza pedagogica tanto dolcemente amorosa verso il popolo e i suoi giovani figli da riscattare, quanto implacabilmente violenta contro la borghesia neocapitalistica, colpevole di aver imposto i suoi disvalori alienanti, e contro il popolo stesso che li ha accettati e si è pervertito in "massa" indifferenziata di automi incattiviti, eterodiretti, immemori della storia e della tradizione. Sull'habitus pedagogico di Pasolini e sulla sua decisiva centralità si concentra dunque questo libro, che raccoglie e riposiziona i contributi prodotti a Casarsa nel novembre 2013 durante il convegno organizzato sull'argomento dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia. Un'indagine condotta anche con un occhio alle problematiche della scuola attuale, chiamata a una nuova responsabilità verso la reale formazione dei ragazzi, altrimenti espropriati e condannati a «una brutale assenza di capacità critiche», secondo l'allarme del Pasolini "corsaro" degli anni finali.