Come si fa a credere nel sogno americano dopo Il grande Gatsby? E cosa sognano gli americani dopo Trump? Il giovane romano che abita queste pagine arriva a Princeton, l’università dei sogni in cui Fitzgerald studiava, e incontra premi Nobel e premi Pulitzer, poeti e scienziati, figli di milionari e di immigrati. Incontra soprattutto studenti, venuti da ogni parte del mondo per partecipare della stessa pertrofica e inebriante eccellenza americana, ma anche per seguire i suoi corsi. È cresciuto, come molti italiani nati in periferia alla fine degli anni Ottanta, guardando i Pokémon, giocando di ruolo in rete, fumando di nascosto con la scusa di portare fuori il cane (anche se questo non riguarda solo i nati alla fine degli anni Ottanta). Dalle campagne di Mostacciano a quelle del New Jersey, l’orizzonte conchiuso dal nastro del grande raccordo anulare si srotola nelle promesse del vecchio nuovo mondo, abbracciando l’impensierita e formidabile ascesa di un giovane uomo per cui le cose dette, lette, viste e assaggiate stanno tutte insieme nella memoria e nel futuro, nell’incanto e nella carne.