Goldoni - scrive Giorgio Strehler - arriva ad una perfezione di costruzione per me incredibile. Attraverso proprio la cosa più semplice: raccontando la storia come una sequenza di fatti che egli non inverte o sovrappone ma segue nella sua logica naturale, uno dopo l’altro, con le relative conseguenze e conclusioni. Una scena cade nell’altra e questa in quella successiva, come il tempo umano cade nel momento dopo, continuamente, senza sosta. Goldoni ad un certo punto ferma il movimento delle azioni, del tempo che passa, perché basta così, ma potrebbe benissimo lasciar fluire la storia dei suoi personaggi, passare un’altra notte, apparire un altro giorno, piovere o far sole, luna e alba, e riso e lacrime, e grido e querimonia e atti d’amore e matrimoni, nascite e morti. Potrebbe insomma seguire il movimento dolcissimo e terribile, continuamente pieno di tanta «baruffa», cioè di tanto affannarsi per poco, come se quel poco fosse tutto e tutto vero della vita. Perché la «vicenda» delle Baruffe non si conclude, veramente, mai come non nasce nemmeno mai come «trama», come «fatto interessante», come incatenarsi di eventi straordinari o almeno che valga la pena di annotare: è un pezzo, piccolo o grande che sia, di realtà vitale che quasi non si fa nemmeno mostra di essere poesia, tanto appare spoglio e poco dimostrativo di essere poetico.