La bottega del caffè

La bottega del caffè

a cura di
3° ed.
978-88-317-5817-8

Le numerose edizioni settecentesche che s’intersecano l’una con l’altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell’impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesie, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell’edizione critica delle opere di Carlo Goldoni. La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all’ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici. Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo. Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l’evoluzione della singola opera fino al momento in cui l’autore non impone ad essa una fisionomia definitiva. Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatamente il loro cammino nella continua e molteplice dinamica dell’interpretazione che qui viene di volta in volta ricostruita nelle pagine dedicate alla fortuna.

Con la propensione all’ascolto, originariamente determinata da un difetto visivo, don Marzio è il rovescio della bottega di Ridolfo, è il prototipo di quei frequentatori di caffè che sanno di questo e di quello, che raccolgono notizie dalla voce degli altri e dalle gazzette per farsene portavoce, senza la cura di controllarle e di verificarne la fondatezza, mescolando verità e invenzione. Se è così, nella Bottega del caffè si nasconde una vena scientifico-filosofica caratteristica del diciottesimo secolo. Davanti a don Marzio uno spettatore o un lettore colto contemporaneo del Goldoni doveva avvertire spunti che lo riconducevano a Cartesio, a Locke e a Newton, a quella tendenza della cultura e del gusto da cui era nato il Newtonianismo per le dame di Francesco Algarotti (1737). Neppure in questa commedia, allora, manca quel doppio livello di lettura, quell’aspetto metateatrale che più volte si ritrova nel Goldoni; qui, larvatamente, si tratta del metodo conoscitivo, nel Poeta fanatico più esplicitamente del modello di letterato, un motivo che ritornerà nel Campiello, dove avremo un altro cavaliere napoletano dotato di occhialetto, ma lì lo strumento servirà a caratterizzare il nuovo uomo di cultura (il Goldoni stesso), aperto all’esperienza del mondo.

Roberta Turchi è docente di letteratura italiana presso l’Università di Firenze. I suoi studi sono rivolti prevalentemente al teatro italiano del Settecento e alla cultura del primo Ottocento.

Autore

Le numerose edizioni settecentesche che s’intersecano l’una con l’altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell’impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesie, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell’edizione critica delle opere di Carlo Goldoni. La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all’ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici. Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo. Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l’evoluzione della singola opera fino al momento in cui l’autore non impone ad essa una fisionomia definitiva. Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatamente il loro cammino nella continua e molteplice dinamica dell’interpretazione che qui viene di volta in volta ricostruita nelle pagine dedicate alla fortuna.