Può parlare la poesia di Andreas Gryphius al lettore italiano moderno? Una poesia nata quando il tedesco era incerto, dentro un orizzonte di cultura ancora del tutto romanzo e la lingua poetica si doveva sbalzare sui modelli della tradizione latina e umanistica?
Nei sonetti di Andreas Gryphius, luterano di vasta cultura umanistica e scientifica, ci sono tutti i temi della letteratura barocca europea: il dolore e la maledizione dell’essere, la caducità e la vanità di tutte le cose in un mondo dominato dal peccato, dall’errore e dal caso. Nei suoi versi questi temi si accendono di nuovi bagliori in un generale paesaggio di morte, nel quale abita un uomo consegnato non soltanto alla vanità e alla fortuna, ma a un dolore senza redenzione e senza pietà. Per quest’uomo non c’è salvezza se non in un ordine divino che si intravede a tratti e si rende manifesto solo nella forza e nella violenza del suo lamento. A parlare alla cultura moderna è allora proprio l’estremo ethos nichilista di questa poesia, sono la voce e l’enfasi dell’angoscia, l’orgoglioso rapporto con il nulla che si fa sforzo retorico e volontà di forma. Compito del poeta è descrivere il nulla e in esso riconoscere l’atto supremo di conoscenza, nominarlo, sapendo solo che la morte è sapienza e desiderio.