Ango Sakaguchi (1906-1955), considerato portavoce di quella corrente di giovani intellettuali emersi dalla desolazione della guerra, iconoclasti e trasgressivi, nasce a Niigata, nel nord del Giappone, e nel 1922, dopo un’adolescenza disordinata e ribelle, si trasferisce a T¯oky¯o, dove inizia la sua carriera letteraria con una serie di racconti che privilegiano elementi grotteschi e irrazionali. Se le prime opere, ambiziose, difficili, talvolta oscure, non ottengono inizialmente grande accoglienza né da parte della critica né del pubblico, durante la guerra del Pacifico e poi negli anni immediatamente successivi alla sconfitta del Giappone, i suoi saggi anticonformisti e lucidamente provocatori, che si schierano contro ogni elogio della tradizione e dello «spirito» giapponese, suscitano un’ondata di entusiasmo, collocando l’autore fra le voci più rappresentative e originali del dopoguerra. Il successo ottenuto, che si estende rapidamente anche ai suoi racconti, tutti pervasi da una concezione pessimistica e nichilista dell’esistenza umana, non incide sulla sua vita eccentrica e disordinata, accentuandone anzi le stravaganze e il gusto per la provocazione. La necessità di lavorare a un ritmo sostenuto, l’uso di eccitanti e di sonniferi, l’inveterato abuso di bevande alcoliche hanno effetti disastrosi sulla sua salute già precaria, che tuttavia non gli impediscono di continuare a scrivere a ritmo serrato saggi, racconti polizieschi, commenti su fatti di cronaca, romanzi storici, senza concedersi un attimo di tregua fino alla morte, avvenuta nel 1955 a quarantanove anni.