«Voici la derniere Piece que je donnai à Venise avant mon départ. Comédie Vénitienne et allégorique, dans laquelle je faisois mes adieux à ma Patrie» Carlo Goldoni
«I due libri su' quali ho più meditato, e di cui mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro » Carlo Goldoni
Le numerose edizioni settecentesche che s'intersecano l'una con l'altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell'impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesia, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell'edizione critica delle opere di Carlo Goldoni.
La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all'ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici.
Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall'autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo.
Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l'evoluzione della singola opera fino al momento in cui l'autore non impone ad essa una fisionomia definitiva.
Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatamente il loro cammino nella continua e molteplice dinamica dell'interpretazione che qui viene di volta in volta ricostruita nelle pagine dedicate alla fortuna.
Alla fine per la Moscovia partiranno in quattro: Anzoletto, le due donne e Zamaria; ovvero Goldoni, la moglie Nicoletta, il nipote Antonio e il servitore Tonino, come accadrà nell'estate del '62, o allegoricamente: il commediografo, i suoi due contrastanti modelli comici e il suo impresario? Occorre forse leggere nella lista dei partenti una mascherata confessione della disponibilità goldoniana a ricercare qualche punto di accordo con la tradizione della Comédie italienne, così da ammorbidire l'impatto col pubblico parigino e stabilire un solido piedestallo per ulteriori esperienze? Credo proprio di sì-scrive Gilberto Pizzamiglio-, anche se fino all'ultimo piuttosto che di un lucido progetto si tratta di un'ipotesi di lavoro, pragmaticamente più perseguibile della distinzione tra i dessegni di Anzoletto e i recami della Gatteau ancora prospettata all'inizio del terzo atto. Invece bisogna lasciare Venezia e dire addio non solo alla patria, ma pure a quanto si è costruito, e il saluto finale è davvero un addio solitario, e la partenza, benchè accompagnata della benedizioni di tutti, ha l'aspetto del distacco definitivo e della perdita.
Gilberto Pizzamiglio, insegna letteratura italiana presso l'Univerisità di Venezia. I suoi studi sono rivolti in particolare al Settecento veneziano: Chiari, Gasparo Gozzi, Goldoni, Baretti a Venezia, giornalismo ed editoria.