Nella Colonia penale, un racconto scritto nell'ottobre del 1914, due mesi dopo l'inizio della guerra e nel mezzo della composizione di Il processo, Kafka descrive il viaggio di un esploratore in un luogo separato dal mondo, dove una legge arcaica amministra la giustizia con una precisione e una raffinatezza pari solo alla sua brutalità. Qui un ufficiale illustra al viaggiatore il complesso meccanismo della macchina destinata alla punizione del colpevole, del quale egli è orgogliso e fedele custode. Ma che cosa è la singolare macchina che, a ben guardare, uccide attraverso un'operazione di scrittura? Tutto ci spinge a pensare che essa sia metafora della letteratura, dei dolori e delle ambiguità della conoscenza, e che discenda da quel sofferto rapporto con l'arte e con la sua identità di scrittore ebraico, per Kafka torturante e vivo proprio in quei giorni di guerra e di isolamento. Ma, certo, la macchina ha anche i tratti del potere che distrugge se stesso, della giustizia che produce ingiustizia, dell'ordine misterioso della legge e del tempo.
Lucia Borghese è docente nella Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze.