"Commedia oscura", tragicommedia, "problem play": i vari tentativi di definire il genere di questa particolarissima opera shakespeariana sono tutti nel segno dell’ibrido e dell’ambiguo. Sommamente ambiguo è il suo protagonista, quel "Duca stravagante dagli angoli oscuri" che lascia temporaneamente il potere al virtuoso Angelo per poi osservare e controllare dall’esterno lo spettacolo crudele, da lui stesso allestito, di un esercizio del potere torbido e corrotto e di una cupa e repressa sensualità. E tragicamente ambiguo è Angelo, inflessibile nell’applicazione della legge ma ben presto artefice di un turpe ricatto sessuale; e Isabella, e Claudio, paralizzati dal terrore ma incapaci di distinguere tra la giustizia e la pietà, tra il peccato e la virtù. E sullo sfondo la zona oscura e corporale della città, una Vienna abitata da mezzani e prostitute, da bisogni elementari e istintualità incontrollate che rivendicano il proprio spazio e le proprie ragioni. A coronare questa tortuosa esplorazione della natura umana e dei suoi grovigli insolubili, un "lieto fine" sconcertante in cui il Duca, giudice supremo ma soprattutto attore consumato e grande regista, rimette in ordine i suoi burattini e riprende in mano il suo regno, ristabilendo i ruoli e le leggi del contratto sociale, in una scena falsamente rassicurante, che lascia aperta ogni domanda sull’amore e sul sesso, sulla giustizia e il potere, la morale e il peccato. Rappresentato alla corte di Giacomo i nel 1604, Misura per misura era - e rimane - un grande gioco del teatro che fa da specchio a un mondo senza certezze, in cerca di un senso nuovo per parole come giustizia, potere, autorità, morale e dignità umana.