«una certa dose di meledicenze, un po' di veleno, alcuni aneddoti e pettegolezzi... Scrivo del mio tempo» Sergej M. Ejzenstejn
«Ma c’è stata la vita?…Si direbbe ci sia stata. Vissuta in modo acuto, allegro, doloroso, addirittura vivida in alcuni momenti,indubbiamente pittoresca, e tale che non la cambierei con nessun’altra» Sergej M. Ejzenstejn
Il bisogno di scrivere prende forma precocemente in Ejzenstejn, che sin dal 1917-1918 annota in quaderni e su foglietti improvvisati ogni sorta di riflessione: da considerazioni sul teatro a impressioni tratte dalle letture fatte, da divagazioni filosofiche a piccoli aneddoti buffi.
Nel 1946, sulla soglia dei cinquant’anni, mentre si accinge a scrivere le proprie memorie, egli nota come per tutta la vita, nel suo lavoro, si sia occupato «di opere à thèse» dimostrando, spiegando, insegnando. Mentre «qui», dichiara, «voglio girovagare per il mio passato, come amavo fare per antiquari e rigattieri del mercato Aleksandrovskij a Piter, per i bouquinistes dei lungosenna a Parigi, per Amburgo o Marsiglia di notte, per le sale dei musei delle cere».
Ecco allora che in queste pagine letture e stralci di vita vissuta s’intrecciano; Dumas e Hugo, Zola e Balzac si profilano nelle sale borghesi della casa paterna, Maeterlinck e Schopenhauer si stagliano sullo sfondo della guerra civile, le città d’Europa e d’America sono evocate ora attraverso incontri fortuiti con artisti di fama, da Pirandello a Cocteau, da Zweig a Joyce, ora tramite associazioni libere con temi ed eventi storici legati ai luoghi visitati: la polizia americana e francese e le tecniche del romanzo giallo, le millenarie piramidi dello Yucatan e la Chiesa ortodossa medievale, gli esordi teatrali e cinematografici a Riga e Pietrogrado, i ricordi d’infanzia sul Baltico, le prime impressioni della Rivoluzione, il fronte e la guerra civile nella Russia bianca, le emozioni per i successi professionali all’estero e in patria, i viaggi… Così la vita del grande regista «sfreccia nella memoria come un film con dei vuoti, dei pezzi spariti, con scene incollate in modo sconnesso, come un film la cui “idoneità alla distribuzione” sia pari al trentacinque per cento».
Eppure, lo scrittore Ejzensˇtejn non ci ha mai parlato in modo così chiaro. Giacché solo qui, e forse nei primi giovanili appunti «per sé», egli scrive senza altra finalità se non quella, appunto, di «scrivere». Nei suoi intenti c’è dunque l’idea di afferrare, tramite la scrittura, episodi, incontri, attimi,
immagini di quella vita che spesso noi tutti «percorriamo al galoppo, senza guardarci intorno, come un trasbordo dopo l’altro», e dalla quale, «come dal finestrino di un treno, sfrecciano via frammenti d’infanzia, pezzi di gioventù, scampoli di maturità».
È lui stesso, in apertura delle Memorie, ad annotare: «Come vorrei esaurire il capitolo riguardante la mia vita con tre parole! “Visse, meditò, si appassionò”. E che queste pagine possano servire a descrivere ciò di cui ha vissuto, su cui ha meditato e a cui si è appassionato l’autore».