In un interno pseudo-inglese - ma molto veneziano - il locandiere Fabrizio accoglie e protegge una bella sconosciuta accompagnata da una servetta maliziosa e fedele; intorno a lei intrighi, maldicenze e un amore reso impossibile da una cupa faida familiare. Goldoni riscrive così la patetica storia della Lindane voltairiana, vittima di un malvagio gazzettiere (in cui è ben riconoscibile il temibile nemico dei philosophes Élie-Catherine Fréron), che aveva entusiasmato le platee francesi e fatto scandalo. Il testo varca le Alpi e suscita in Italia una gara di riprese da parte di Giacomo Casanova, Gasparo Gozzi e Pietro Chiari. Carlo arriva per ultimo, nell’autunno del 1761, ma la sua sorniona riscrittura (che affetta all’inizio di non conoscere neanche l’identità dell’autore) sbanca il botteghino con un successo che resterà costante per decenni. Nella stagione delle Villeggiature, e alla vigilia della sua partenza per Parigi, egli si accosta abilmente a un componimento celebre di un grande intellettuale d’oltralpe, che è anche un suo sponsor prestigioso, in un’emulazione audace e dissimulata. La sua riscrittura, su misura per gli spettatori italiani, elimina gli spunti satirici troppo aspri, valorizza le risorse degli attori che ha a disposizione al San Luca, razionalizza la storia entro i parametri etici e teatrali della commedia riformata. Del resto Voltaire aveva pescato a piene mani dalla Bottega del caffè e dal Cavaliere e la dama per la sua Écossaise, e Goldoni non fa che riportare a casa quanto è suo, con il robusto realismo venato di passionalità e di malinconie dei suoi ultimi anni veneziani.
Le numerose edizioni settecentesche che s’intersecano l’una con l’altra, la mancanza degli autografi e la vastità dell’impresa di fronte alle cento e più commedie, alle decine di melodrammi giocosi, di drammi per musica e di altri componimenti teatrali, cui si affiancano poesie, prose amplissime di memoria e un cospicuo epistolario, hanno impedito fino ad ora che si affrontasse la questione dell’edizione critica delle opere di Carlo Goldoni.
La cultura italiana e internazionale si era rassegnata e accomodata all’ombra della grande, meritoria fatica di Giuseppe Ortolani iniziata nei primi anni del secolo, senza, tuttavia, un chiaro progetto e senza precisi criteri filologici.
Alla base di questa edizione nazionale vi è stata una preliminare indagine sulle stampe volute dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua lunga vita al fine di determinare, opera per opera, i diversi stadi del testo. Da qui la presenza di un ricco apparato di varianti che illustra l’evoluzione della singola opera fino al momento in cui l’autore non impone ad essa una fisionomia definitiva. Consegnati al teatro, i testi, che erano nati per esso, riprenderanno immediatamente il loro cammino nella continua e molteplice dinamica dell’interpretazione che qui viene di volta in volta ricostruita nelle pagine de- dicate alla fortuna.
Marzia Pieri è docente di storia del teatro e dello spettacolo all’Università di Siena. Si è occupata di Rinascimento, Settecento e Novecento; all’interno di questa edizione nazionale ha curato la Trilogia persiana.