«Distillato di innumerevoli esperienze di viaggio su una Terra che nel frattempo ha in molti luoghi cambiato faccia, Antropologia del paesaggio riesce l’unica possibile guida per l’immateriale mondo futuro»
Franco Farinelli
Nella sua accezione tradizionale, romantica e ottocentesca, il paesaggio non esiste più; come sfondo di vita campestre o di vita naturale esso è stato quasi ovunque cancellato fuori di noi e dentro di noi. Con i suoi strumenti industriali l’uomo impronta in modi sempre più incisivi la superficie terrestre. Ciò tuttavia non esclude che il paesaggio, come realtà vista e vissuta, possa ancora utilmente essere assunto dalla cultura.
Ma occorre una sua revisione epistemologica e concettuale, una sua ricollocazione scientifica.
Questo libro considera il paesaggio nella sua dimensione antropica, come insieme di segni che rimandano alle relazioni interne della società, ai loro modi di usare l’ambiente terrestre, di incidervi la propria impronta, sulla base di un confronto tra cultura e natura che varia a seconda delle forme di organizzazione che le stesse società sono riuscite storicamente ad imbastire nello spazio.
Questo comporta uno spostamento d’interesse dal territorio alla società, alle sue strutture produttive, alla sua storia, alle sue rappresentazioni ecc.
Si supera così la vecchia nozione di paesaggio pittorico, come quadro estetico del mondo, e quella che lo considera come dato oggettivo intimamente legato all’ambiente naturale e che, al di fuori della storia, si esaurisce scientificamente in una visione tassonomica della realtà. Questo modo di guardare il paesaggio e di leggerne le nascoste relazioni chiede necessariamente soccorso un po’ a tutte le scienze dell’uomo, orientandole però in un’unica dimensione conoscitiva, che è quella in definitiva di interpretare il nostro segno nel mondo. Operazione straordinaria, bellissima, fondamentale, che allarga la nostra coscienza di viventi terrestri, che fa del paesaggio il nostro riferimento costante, lo specchio di noi, del nostro agire, del nostro progettare forme da aggiungere alle forme ereditate. In questo senso il rapporto col paesaggio, il guardarlo, leggerlo, studiarlo è un’operazione vitale quanto poche altre e oggi più che mai necessaria in un pianeta tutto umanizzato, la cui difficile gestione presuppone una coscienza sempre vigile del posto che occupiamo nella natura, del senso e della misura delle nostre trasformazioni.
Eugenio Turri (1927 - 2005), veronese, geografo, è autore tra l’altro di Viaggio a Samarcanda (1963 e 2004), Villa Veneta. Agonia di una civiltà (1977 e 2002), Semiologia del paesaggio italiano (1979 e 1990), Dentro il paesaggio: il territorio-laboratorio (1982), Gli uomini delle tende (1983 e 2003), La via della seta (1983), Weekend nel Mesozoico (1992), Miracolo economico: dalla villa veneta al capannone industriale (1995), Il paesaggio degli uomini. La natura, la cultura, la storia (2003), Il viaggio di Abdu. Dall’Oriente all’Occidente (2004), Taklimakan. Il deserto da cui non si ritorna indietro (2005). Con Marsilio ha pubblicato La conoscenza del territorio. Metodologia per un’analisi storico-geografica (2003), La megalopoli padana (2004), Il paesaggio e il silenzio (2004) e Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato (2006). Per anni è stato consulente per la pianificazione territoriale e paesistica alla Regione Lombardia e ha insegnato geografia del paesaggio alla facoltà di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Milano.