Kim Arcalli: montare il cinema

Kim Arcalli: montare il cinema

1° ed.
978-88-317-9623-1

Sergej Ejzenstein assumeva il montaggio come l’unica vera manifestazione “creatrice e sovrana” dell’arte cinematografica. Eppure, nonostante l’importanza di questo momento nel processo produttivo e di scrittura del cinema, raramente si è assunto come presenza creativa del film il tecnico di montaggio. Questi per diventare conosciuto deve realizzare il passo verso la regia altrimenti può solo sperare in un briciolo di luce riflessa del suo regista e della raggiunta notorietà dei film da lui montati. Ma se è un nome sconosciuto ai più non lo è invece per la produzione, per i tyccons del cinema dei quali è il fido esecutore, colui che sintetizza (nel taglio) la volontà e le necessità del mercato. Arcalli ha influenzato nettamente la scrittura filmica del cinema italiano degli ultimi trent’anni.
Amico e tecnico di fiducia di registi come Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Tinto Brass, Giulio Questi ed Eriprando Visconti ha montato e in parte sceneggiato i più importanti film degli anni settanta.
Nemmeno lui si è potuto sottrarre però alla classica richiesta che i produttori fanno a un montatore: il taglio di mercato. A cadere nelle forbici di Kim è stato tra gli altri il Derso Uzala di Akira Kurosawa, film scorciato di una decina di minuti.
Arcalli ha portato alle estreme conseguenze, anche sul piano personale, tutte le contraddizioni di una pratica perversa e polimorfa come il montaggio. Il suo coinvolgimento in esse è totale; di sicuro nel cinema italiano degli anni ’60 in poi sembra l’unico montatore ad aver reso vitale il suo lavoro, accettando tutti i poteri e tutte le insidie, esponendo se stesso come corpo contraddittorio, giungendo coerentemente a “morir di cinema” in un’esposizione e apertura di sé ai materiali esterni (e alla vita) che non ha uguali nel cinema italiano.

Pubblicato su iniziativa del Comune di Venezia nel 1980, Montare il cinema torna in libreria a trent’anni dalla scomparsa di Franco Kim Arcalli (1929-1978), quale doveroso tributo ad un maestro del montaggio cinematografico nell’era della sua ormai “irreversibile” mutazione digitale.