Emma Lavinia Gifford e Thomas Hardy: un incontro folgorante, un grande amore e poi un matrimonio lungo e infelice, che si logora lentamente in un grumo velenoso di incomprensioni e rancori. Ma quando Emma nel 1912 improvvisamente muore ha luogo un mutamento prodigioso, e Hardy viene travolto da un fiotto poderoso di ispirazione poetica, in cui il suo grande romantico amore giovanile diviene l'unica viva realtà. Scrive più di cento poesie tormentate e struggenti, cariche di rimorso e rimpianto per ciò che aveva perso, ma piene di luce e di emozioni che il vecchio poeta va ricercando e ritrovando. E soprattutto, poesie tra le più perfette della sua produzione: apparentemente semplici, nella grandissima varietà di forme metriche e strofiche, creano ritmi organici in cui la lingua e l'esperienza quotidiana si bilanciano con il termine prezioso e l'immagine letteraria. Con queste poesie, ha scritto Brodskij, il vecchio Hardy «ridefinisce il genere dell'elegia funebre e insieme quello della poesia d'amore». E per Montale esse sono «una delle vette della poesia moderna, e non di quella poesia vittoriana alla quale si sarebbe tentati di ascrivere un poeta già operante nel 1870».