Dopo Napoli, Roma, Milano e Venezia Anish Kapoor approda a Firenze. Già abituato a realizzare progetti in contesti ricchi di storia, per la prima volta l’artista si confronta con un edificio del primo Rinascimento come Palazzo Strozzi, un vero simbolo della cultura umanistica. «Palazzo Strozzi è simmetrico. La successione degli ambienti è strutturata e rigorosa. Fare una mostra in queste sale non è facile» spiega Kapoor ad Arturo Galansino, nell’intervista nel catalogo realizzato in occasione della mostra. «Troppo ordine distrugge il modo in cui l’opera può interagire con lo spettatore. È stato quindi necessario interrompere l’ordine delle sale, collocando i lavori in maniera da creare percorsi alternativi attraverso l’edificio».
La sfida di Anish Kapoor, messa in atto con grande maestria, è quella di destabilizzare la visione rigorosa e simmetrica che sta alla base dello straordinario progetto rinascimentale.
L’irreale (unreal) si mescola con l’inverosimile (untrue) trasformando la comune percezione della realtà e i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla dimensione dell’impossibile. Il percorso diventa un’esperienza fisica e mentale che ci conduce in quello che Morgan Ng nel suo saggio chiama un mondo di ombre, l’inconscio, il pozzo: «La vertigine fisica di quanto sconosciuto, il timore della caduta, dell’essere risucchiati verso l’imperscrutabilità del passato e del futuro».
Il volume raccoglie i contributi di studiosi – Diane Bodart, Francesca Borgo, Rachel Boyd, Dario Donetti, Tommaso Mozzati e appunto Morgan Ng – esperti di Rinascimento che si sono confrontati con il processo creativo dell’artista. Donetti sottolinea come il rivestimento architettonico dai volumi così ben definiti del palazzo renda particolarmente suggestivo il dialogo con la capacità di Kapoor di cimentarsi e misurarsi con i limiti di una struttura chiusa, con le riflessioni sui rapporti di scala, con i concetti di membrana esterna.
La cera, uno dei materiali che connota le opere dell’artista, ha una lunga tradizione nella storia fiorentina. Borgo ne ripercorre l’uso sia come materia utilizzata per tecniche diverse sia come medium artistico a sé stante. Il riferimento è all’antica tradizione degli ex voto che raffiguravano parti del corpo o a grandezza naturale, come quelle eseguite dal ceraiuolo Orsino, volute da Lorenzo de’ Medici dopo essere sopravvissuto alla Congiura dei Pazzi. In una di esse, per esempio, il Magnifico appariva ferito alla gola e fasciato, proprio come quando si era presentato alla finestra di casa sua alla cittadinanza, per testimoniare di essere vivo. Un’immagine che, come la cera, evoca la vulnerabilità e l’effimerità della carne e dell’esistenza e che può essere avvicinata alle opere di Kapoor realizzate in silicone che evocano interiora, corpi violati e sanguinanti. Il saggio di Boyd si sofferma sul colore facendo un parallellismo tra la poetica di Kapoor e l’uso dei pigmenti nella scultura rinascimentale e nell’antichità in generale. Per l’artista il colore non è infatti solo materia e tonalità, ma anche fenomeno immersivo con un proprio volume spaziale e illusorio. Bodart, invece, analizza in particolare le opere a superficie riflettente di Kapoor mettendole in relazione alla prospettiva e al rapporto tra pittura e scultura: «Collocando la sua pratica all’intersezione tra scultura e pittura e fondendo la dimensione fisica della prima con la qualità illusoria della seconda, Kapoor ripropone i termini dell’antico dibattito comparativo tra le due arti, comunemente noto come paragone, che infiammò il discorso artistico durante il Rinascimento italiano».
Le opere di Kapoor trascendono la loro materialità: pigmenti, pietra, acciaio riflettente, cera e silicone vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in discussione il confine tra plasticità e immaterialità. E, come chiarito da Kapoor a Maurizio Cattelan che gli chiede da dove partisse e come prendesse vita il suo lavoro: «Alchimia, lavoro e materiali» perché nell’opera la materia «è stata sottoposta a una trasformazione alchemica. Il mix di psiche e materia è quella meraviglia che noi umani possiamo fare e che abbiamo dimenticato che possiamo fare».
Il catalogo propone per la prima volta il lavoro di Kapoor in un rigoroso ed elegantissimo repertorio in bianco e nero alternato a riprese a colori degli allestimenti in mostra. Un racconto che si dipana dalle prime opere degli anni Ottanta fino a quella site specific realizzata per il cortile di Palazzo Strozzi.