«Queste costruzioni, pur essendosi rivelate in alcuni casi impraticabili, sono state comunque veicolo di innovazione, manifestazioni di coraggio, un invito a immaginare un mondo al di là delle limitazioni pratiche, stagliandosi come icone di una progettazione che supera i confini convenzionali» Lucia Bergonzoni, sottosegretaria alla Cultura
Inabitabili, ma oniriche e capaci di aprire un varco nell’immaginazione di chi le osserva. Sono le otto Architetture inabitabili protagoniste del libro edito da Marsilio Arte, immortalate dallo sguardo di fotografi contemporanei come Silvia Camporesi e Francesco Jodice e raccontate dalla penna di scrittori e scrittrici del calibro di Edoardo Albinati, Stefania Auci, Gianni Biondillo, Andrea Canobbio, Andrea Di Consoli, Francesca Melandri, Tiziano Scarpa e Filippo Timi.
In occasione dell’omonima mostra allestita a Roma alla Centrale Montemartini, promossa da Roma Capitale e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e realizzata da Archivio Luce Cinecittà, Marsilio Arte pubblica un volume a cura di Chiara Sbarigia, presidente di Istituto Luce Cinecittà, e Dario Dalla Lana, con saggi dei due curatori e di Marco Belpoliti. Grazie alle immagini suggestive e alla raffinatezza dei testi, il libro è un vero e proprio viaggio che accompagna il lettore nel Campanile di Curon nel lago di Resia a Curon Venosta (Bolzano), nel Memoriale Brion di Carlo Scarpa a San Vito di Altivole (Treviso), nella Torre Branca di Milano, nel Lingotto di Torino, negli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello (Perugia), nel Gazometro di Roma, nel Parco dei Palmenti di Pietragalla (Potenza) e nel Grande Cretto di Burri a Gibellina (Trapani). I saggi hanno la forza di rievocare l’origine di queste architetture, le leggende che ancora le animano e l’impatto nell’immaginario collettivo. La curatrice Sbarigia nel suo contributo In principio fu un silo con un albero e una citazione, spiega come nella mostra si possano trovare tracce di quello che l’ha ispirata, come la passione per le water towers di New York e i teatri di posa di Cinecittà che rappresentano l’architettura inabitabile per eccellenza, seppur brulicanti quotidianamente di lavoro e abitati da personaggi di finzione. Che cosa significa poi inabitabile? Il curatore Dario Dalla Lana esplora il concetto nel suo Costruire, abitare, guardare attraversando i casi esposti nella mostra, approfonditi poi nei saggi degli scrittori: lo stile diverso di ogni autore trasforma il volume in un territorio immaginario. Francesca Melandri racconta storie di vita del paese che sorgeva dove è stata costruita la diga artificiale da cui spunta oggi il Campanile di Curon. Tiziano Scarpa ci porta nella tomba dei coniugi Giuseppe e Onorina Brion realizzata dal «demiurgo creatore» Carlo Scarpa, ricordando anche l’opera Il delirio del particolare. Ein Kammerspiel di Vitaliano Trevisan. Gianni Biondillo fotografa l’architettura del ventennio con la Torre Branca, progettata da Gio Ponti, a pochi passi da quello che fu il Palazzo dell’Arte, oggi Triennale. Ne La dea bianca di Andrea Canobbio è il Lingotto stesso che parla raccontando la sua storia («Io sono la forma pura, il solido perfetto, sono il frattale che ripete sé stesso all’infinito, l’elemento modulare replicato fino al punto di fuga»), mentre il perugino Filippo Timi fa rivivere l’atmosfera dei Seccatoi del tabacco con la storia di Lucio Tarquinio «cresciuto a suon di botte, tabacco e bestemmie». Albinati ripercorre quello che il cinegiornale dell’epoca definiva «il fantastico castello d’acciaio», ovvero il Gazometro che oggi «sembra ancora lì, a rammentare della base materiale dell’esistenza: come il fossile che segnala, in negativo, con il suo solco vuoto, il corpo dell’animale vivo». Di Consoli riscopre la sua terra, la Lucania, che ospita il Parco dei Palmenti. La racconta entrando in contatto con lo spirito dei morti, quasi rivedendo «gli uomini nell’autunno brumoso affollare queste grotte anguste», sentendo il loro odore e le loro parole dialettali. Pietre e silenzio di Stefania Auci ci riporta nella fredda notte del 14 gennaio 1968, quando le case crollarono su sé stesse «tornando a essere pietre, pezzi di legno, chiodi». Là a Gibellina, dove c’era vita, Alberto Burri realizzò il memoriale in ricordo del paese che non c’è più, ma che vive nell’immaginario, come le altre architetture inabitabili.