Atene, sconfitta e umiliata nella guerra con Sparta, sperimenta nel 404-403 a.C. il regime oligarchico dei Trenta Tiranni. In otto mesi vengono uccisi più ateniesi che negli ultimi dieci anni di guerra. Il terrore è guidato da Crizia, cugino di Platone, e colpisce anche i politici conservatori che hanno appoggiato la riforma istituzionale. Lisia, straniero residente da decenni ad Atene, ricchissimo, amico di Socrate e della jeunesse dorée ateniese, viene arrestato ma riesce a fuggire; Polemarco, suo fratello, viene ucciso. Al ritorno della democrazia Lisia accusa Eratostene, il Tiranno responsabile dell’omicidio - e della sua responsabilità, essenzialmente politica, fa un atto di accusa contro il terrore. La prosa cristallina, apprezzata nell’antichità perfino più di quella dell’«intemperante» Platone, fa tuttora di Lisia uno dei modelli esemplari della lingua greca; ma, dietro e ben oltre gli ambigui e talvolta malintesi apprezzamenti formali, devono essere pienamente riconquistati il valore della testimonianza, la coerenza delle argomentazioni e la lucidità dell’analisi politica che caratterizzano un discorso innervato di sdegno civile e furore privato.