In una Atene in cui da tempo non si sa più niente del re, si diffonde la notizia della sua morte. A partire da questo falso dato di fatto si mette in moto il più inesorabile congegno drammatico: Fedra confessa la passione incestuosa che nutre per Ippolito... Il testo presenta la prima versione del capolavoro di Racine, seguendo una pratica recente della critica francese di cui testimonia fra l’altro la nuova edizione raciniana della Pléiade. Ed è in nome di questa scelta che il titolo anziché Phèdre è Phèdre et Hippolyte, come appunto nella prima versione del 1677. Una scelta che serve anche a sottolineare un altro aspetto importante di questa edizione, che si propone di inserire l’opera di Racine nella lunga serie di Ippoliti e Fedre che, a partire da Euripide e Seneca, avevano calcato le scene italiane e francesi. Ed è proprio dal confronto con questa tradizione che risalta il genio di Racine, la sua arte di annodare l’intreccio, di riattualizzare il mito, di dare voce alle emozioni, di attribuire a materiali antichi un significato nuovo, ancora oggi sconvolgente.