Attorno alla figura di Michael Kohlhaas Kleist ha costruito un racconto che, per forma e per contenuti, non ha confronti nella letteratura tedesca e che, non a caso, Kafka diceva di leggere in maniera vorace e selvaggia, perfino quasi senza capirne tutte le tortuose trame narrative. È la storia di un uomo retto nel quale un grave sopruso subìto da parte di un nobile ha acceso un’inestinguibile sete di giustizia e di vendetta e provocato una ribellione istintiva, violenta e fatale. Il lungo percorso seguito da Kohlhaas attraverso tutti i gradi e le istanze ufficiali della giustizia è accompagnato da un consenso di popolo ma anche da una serie di lutti e di devastazioni che si concluderanno soltanto con la pubblica esecuzione e morte dell’eroe. Ma la morte di Kohlhaas sulla piazza gremita da una folla che attende invano il miracolo della sua salvezza non assomiglia a una qualsiasi esecuzione capitale: è piuttosto un atto trionfale del condannato che ha voluto fino in fondo la riaffermazione della giustizia e del diritto, che vede riconosciuto il proprio onore, garantita la discendenza, restituiti i beni, umiliato l’avversario che aveva per primo violato la legge e la sua dignità di cittadino. La qualità unica di questo racconto consiste nel modo con cui Kleist ha costruito la trama lenta e ossessiva dei fatti che accompagnano l’eroe verso la consumazione della sua vendetta; nella forza istintiva e potente con la quale lo scrittore, prendendo lo spunto da un fatto di cronaca del Cinquecento tedesco, ha come piegato la storia a una sua intima verità e raccontato la dismisura di un sentimento, il dolore devastante di un’ingiustizia, ma anche il valore di una fede e lo smagliante splendore del sacrificio di sé.