L’erede al trono di Spagna, il giovane Don Carlos, ama segretamente la regina, un tempo sua promessa ma per ragioni di stato divenuta sposa di suo padre Filippo II. Attorno ai due protagonisti una complessa macchina di intrighi, di pulsioni incrociate, di complotti e rivolte, e sopra tutti il marchese di Posa, amico del principe, grande di Spagna e cavaliere di Malta. È lui l’apostolo della libertà e dei diritti umani, ma anche il tribuno abbagliato dalla sua fede e il combattente guidato da convinzioni che sfiorano il fanatismo e il dogmatismo. È lui l’amico che cerca di guarire l’Infante malato d’amore spostando la sua infelice passione in direzione del progetto politico di dare libertà religiosa alle Fiandre. Sullo sfondo delle guerre di religione, il giovane Schiller porta in scena alcuni tra i grandi temi della drammaturgia universale, quali il conflitto umano e politico tra padre e figlio, il rapporto di amicizia tra due giovani, l’amore del principe per la sposa del padre. È l’idea di un teatro come luogo nel quale si elabora un altro diritto e si mette in discussione l’ordine del potere. Scritto prima in prosa poi in versi, Don Carlos diventa così una macchina molto complessa di eventi dai quali esce un’incalzante domanda di vita, di tolleranza e di libertà di coscienza. È davvero difficile distinguere se, e dove, il dramma politico sopravanzi quello privato e interiore dal quale il testo aveva preso le mosse. Lo dimostra la lunga storia delle sue rappresentazioni sceniche, l’ininterrotto dibattito critico sulla vasta materia giuridica, storica e antropologica che lo sorregge, e anche la straordinaria recezione extraletteraria, a cominciare dall’opera omonima di Giuseppe Verdi.