"Dopo che a lungo le stelle avevano brillato da sole e nel cielo non si era potuto scorgere neppure un frammento di luna, avvenne qualcos'altro"
La notte di Natale, in alta montagna, due bambini, fratello e sorella, si smarriscono e poi si salvano,
perdono l’orientamento e attraversano un regno misterioso di neve, pietra e ghiaccio. La lunga notte
trascorsa in una grotta è carica di insidie, di seduzioni e di mistero, ma al tempo stesso è trepidante attesa del giorno nuovo, speranza di salvezza, fuga dal pericolo e dall’ignoto.
Stifter racconta una storia sottile e complessa, carica di sensi che vanno oltre l’orizzonte salvifico
del prodigioso finale e lasciano intravedere nell’esperienza dei fanciulli smarriti la realtà della condizione umana. Il fascino di Cristallo di rocca - originariamente intitolato La notte santa - sta proprio nella felice ambiguità tra rappresentazione realistica e rappresentazione simbolica, tra vicende e spazi verosimili e il tempo mitico della sua cornice favolistica. Sta anche in una particolare qualità di scrittura e di affabulazione che fonde e media forme della tradizione orale e il grande stile della letteratura classica.Per la sua perfezione formale e per la complessità dei suoi significati questo racconto, considerato il capolavoro di Stifter, ha mobilitato lettori di ogni tipo e ha dato vita a una lunga e affascinante storia interpretativa che ha pochi confronti nella letteratura europea.
Adalbert Stifter nasce nel 1805 a Oberplan in Boemia. Trasferitosi nel 1826 a Vienna - dove,
fra le altre cose, lavora come precettore presso la famiglia von Metternich -, vi rimane fino
allo scoppio dei moti rivoluzionari del 1848.
Dal 1849 fino al 1868, anno della sua morte, vive a Linz, alternando alla scrittura l’attività di ispettore scolastico e di conservatore di beni artistici e architettonici.
Dedicatosi in gioventù alla pittura, Stifter approda alla letteratura soltanto all’inizio degli anni ’40
con il racconto Il condor, cui faranno seguito una ventina di novelle, raccolte negli Studi
(1844-1850) e nelle Pietre colorate (1853), e due romanzi: Tarda estate (1857) e Witiko
(1865-67); da ricordare infine il lungo racconto La cartella del mio bisnonno, di cui esistono tre
stesure e che accompagnò l’autore fino alla morte.
Maria Fancelli, germanista all’Università di Firenze, ha insegnato nelle Università di Trieste, Siegen
(rfg) e Siena. Ha condotto studi sulla letteratura classica e in particolare su Goethe; ha curato
due volumi dedicati ai temi delle interconnessioni tra letteratura e arti figurative, Winckelmann
tra letteratura e archeologia (Marsilio 1993) e Il primato dell’occhio (con E. Bonfatti, Artemide 1997). Ha studiato anche autori dell’Ottocento come Heine e Stifter; per il Novecento si è occupata
in maniera continuativa di G. Benn, del quale ha tradotto Cervelli (Adelphi 1986).
Maria Fancelli, germanista all’Università di Firenze, ha pubblicato studi sulla letteratura classica tedesca e in particolare su Goethe e Winckelmann.
Paola Capriolo è autrice della raccolta di racconti La grande Eulalia (Feltrinelli 1988) e di numerosi
romanzi tra i quali, per citare solo i più recenti, Il sogno dell’agnello e Una di loro (Bompiani 1999
e 2001), Qualcosa nella notte (Mondadori 2003). Oltre a collaborare alle pagine culturali del «Corriere
della Sera» svolge un’intensa attività di traduttrice dedicandosi soprattutto ai classici della letteratura
tedesca: ha tradotto opere di Kafka, Goethe, Thomas Mann, Keller e Schnitzler. Presso Marsilio
è uscita nel 1995 la sua traduzione delle Affinità elettive di Goethe, nel 2003 del Michael Kohlhaas
di Kleist e nel 2005 delle Pietre colorate di Stifter. Ha scritto su G. Benn e su Rilke nel recente (2006) Rilke. Biografia di uno sguardo.
Paola Capriolo, scrittrice, traduttrice, per Marsilio ha pubblicato la traduzione delle Affinità elettive di Goethe e di Michael Kohlhaas di Kleist.