Ifigenia

Ifigenia

a cura di
1° ed.
978-88-317-9370-4
Un altro sangue d'Elena,
un'altra Ifigenia

Jean Racine nasce in una famiglia decorosa e modesta nel 1639. Perduta la madre a soli due anni, viene educato a Port-Royal, presso le scuole gianseniste. Questo insegnamento lo segnerà per la vita. Nel 1664 esordisce come autore teatrale offrendo alla compagnia di Molière la sua prima tragedia, La Tebaide, tratta da Euripide. Nel 1666 rompe clamorosamente con i suoi maestri giansenisti difendendo il teatro dalla condanna di Nicole. Al suo primo capolavoro, Andromaca (1668), ne succedono puntualmente altri: Britannico (1670), Berenice (1671), Bajazet (1672), Mitridate (1673) e Ifigenia (1674). Nel 1677 rappresenta Fedra e Ippolito. In questo stesso anno, assieme a Boileau, viene nominato storiografo da Luigi xiv. Il nuovo prestigioso incarico, che ricopre con zelo, lo allontana dalla scena, alla quale torna soltanto per ordine del re con due tragedie religiose, Esther (1689) e Atalie (1690). Muore nel 1699 ed è sepolto a Port-Royal, secondo la sua volontà, vicino a Monsieur Amon, il suo insegnante di greco.

I venti sono calati. Il mare è piatto. La flotta dei Greci non può raggiungere Troia. Calcante, che ne ascolta la voce, sostiene che gli dei chiedono il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, il comandante. Racine ritorna al suo tragediografo preferito, Euripide, per misurarsi con una storia scomoda agli occhi di un autore cristiano e razionalista: una storia mossa dalla volontà degli dei e risolta da un miracolo. Supera l’ostacolo sfruttando varianti minori della trama, soprattutto inventando. Riesce così a costruire uno dei suoi capolavori, una tragedia dal ritmo incalzante, nella quale giganteggiano personaggi ambigui: l’invidiosa e sfortunata Erifile, Achille, generoso e maldestro, Ulisse, eloquente e astuto. Tutti intorno ai due protagonisti: il padre, cui spetta la decisione, e la figlia, la sua vittima. In questa magnifica nuova traduzione di Ifigenia Flavia Mariotti riesce a conservare tutto il ritmo vibrante e serrato di Racine, e con il suo commento erudito e penetrante la illumina di una nuova luce.

Flavia Mariotti insegna letteratura francese all’Università di Roma «La Sapienza». Si è occupata del romanzo del Novecento e in particolare dell’opera di Cocteau (Cocteau 1923: due antiromanzi, Roma, Bulzoni, 1992), e di letteratura seicentesca. Ha pubblicato numerosi saggi sulla teoria e pratica della traduzione a Port-Royal.


Autore

nato nel 1639, rimasto precocemente orfano viene educato alle «Petites Écoles» dei Giansenisti. Esordisce nel 1664 con la tragedia La Thébaïde, cui seguono Alexandre le Grand (1665), Andromaque (1667), Les Plaideurs (1668, unica commedia), Britannicus (1669), Bérénice (1670), Bajazet (1672), Mithridate (1672), Iphigénie (1674), Phèdre et Hippolyte (1677). Nel 1677 viene nominato, assieme a Boileau, storiografo del re e abbandona il teatro. Vi torna solo per due tragedie d’argomento biblico: Esther (1689) e Athalie (1691), recitate al Collegio di Saint-Cyr. Muore nel 1699.