Venezia, 15 marzo 2024 - Il Premio internazionale di editoria Cesare De Michelis, quest’anno alla terza edizione, è assegnato a Fiona McCrae, per ventisette anni alla guida di Graywolf Press, prestigiosa casa editrice indipendente di Minneapolis.
Promosso da Marsilio Editori, l’Università Ca’ Foscari Venezia e Fondazione di Venezia nell’ambito del festival letterario Incroci di Civiltà, il riconoscimento - in memoria di Cesare De Michelis - viene conferito a editori che nel panorama internazionale si sono distinti per la vitalità e la novità del loro progetto, e si sono impegnati nel far conoscere nel proprio Paese letterature tradizionalmente non tradotte.
A selezionare il vincitore del Premio, una giuria composta da Teresa Cremisi (Presidente), Naveen Kishore (Seagull Books, vincitore dell’edizione 2022), Michael Krüger (Carl Hanser Verlag, vincitore del Premio nel 2023) Francesca Varotto (Marsilio Editori), Giovanni Dell'Olivo (Fondazione di Venezia) e Flavio Gregori (Università Ca' Foscari Venezia).
In occasione del conferimento del Premio, Fiona McCrae sarà presente a Venezia a Incroci di Civiltà.
La premiazione avrà luogo il 10 aprile alle ore 17.00 al Teatro Goldoni. Fiona McCrae sarà anche protagonista di un incontro all’Auditorium Santa Margherita il 12 aprile, sempre alle 17.00, che la vedrà in dialogo con i giurati del Premio.
Biografia
Fiona McCrae è stata senior editor di Faber and Faber a Londra, dove ha collaborato con autori come Kazuo Ishiguro. Dopo aver lavorato per l’ufficio americano di Faber a Boston, nel 1994 è stata nominata editore di Graywolf Press a Minneapolis. Durante il suo mandato, Graywolf Press si è distinta per i suoi contributi innovativi al panorama editoriale, in particolare nei settori della poesia e della saggistica. Gli autori di Graywolf hanno vinto il Premio Nobel per la letteratura, il Premio Pulitzer, il National Book Award, il Booker e l’International Booker Prize e il National Book Critics Circle Award.
Tra i vari riconoscimenti, Fiona McCrae e i suoi colleghi hanno ricevuto l’Editor’s Award da Poets & Writers e la Medal for Editorial Excellence dal Center for Fiction di New York. Vive a Minneapolis, Minnesota, con il marito John Coy, che scrive libri per ragazzi.
Amava molto la narrativa straniera e ha saputo valorizzare tanti autori, ma è stato sulla narrativa italiana che ha fatto miracoli di visione e di pazienza, cogliendo per prima la vocazione di scrittori inesperti e portandoli a maturare. Al loro fianco è stata allenatrice, talent scout, confidente, consigliera, amica, supporter, instancabile nel chiedere riscritture e pretendere un ultimo sforzo. In un’editoria sempre di corsa, ha regalato ai “suoi” scrittori il tempo per fare meglio, e alla casa editrice un catalogo di cui andare fieri. Perché nella sua idea di editoria, i libri non si fanno “su misura del lettore” alla scrivania; nascono dall’incontro, dall’intuito, dalla capacità ermeneutica di esprimere doti nascoste.
Si definiva ridendo “un’editor da bar”, perché era davanti a un caffè o un aperitivo che esercitava il suo vero talento: l’empatia. Ascoltava e rielaborava, cogliendo i doni che il suo interlocutore non sapeva neppure di avere: al giallista consigliava di scrivere un libro sull’alimentazione, all’accademico di divulgare, all’illustratore di farsi narratore. Tesseva e intrecciava fili con le persone più varie, che le restavano tutte ugualmente devote: una rete di conoscenze enorme, che rimpiange insieme a noi la sua vitalità e la sua intelligenza.
Per questo e per tanto altro ringraziamo la collega, ma è l’amica che vorremmo salutare: accogliente e curiosa, disinteressata a ruoli e gerarchie, sempre divertente e imprevedibile. Sarà strano non trovare Patricia a Londra o Francoforte, alla prossima festa, al solito bar. L’aspetteremo comunque fiduciosi, magari è solo in ritardo.
Ricordo di Patricia di Chiara Valerio, apparso su repubblica.it
In un mondo dove tutti sembrano dover avere un volto, l’editore è ancora un mestiere che consente qualche mistero e cioè di poter avere, talvolta, solo un nome. Dietro al successo italiano di Madeline Miller – La canzone di Achille e Circe, libri pubblicati anche da Robinson con Repubblica – c’è Sonzogno, e c’è Marsilio, ma prima di tutti c’è Patricia Chendi. Prima che Luisa Ranieri incarnasse Lolita Lobosco, una delle serie italiane più fortunate e apprezzate degli ultimi anni, Patricia Chendi aveva trovato e aiutato Gabriella Genisi, l’autrice, a sviluppare personaggio e titoli. Patricia Chendi è morta a 53 anni. Aveva lavorato anche in Sperling & Kupfer e da Baldini & Castoldi.Per descrivere Patricia Chendi, semplicemente Chendi, in giuliva assonanza col cartone animato, anche se i ricci di Patricia erano rosso ramati, laddove i boccoli di Candy Candy biondo dorati, non si può che pensare a Ian McKellen che interpreta James Whale, regista di Frankenstein, in Gods and Monsters e dice che nascono le giraffe e nascono i buoi e le giraffe non possono essere aggiogate all’aratro.
Questo non significa stabilire una graduatoria tra giraffe e buoi, ma semplicemente sapere che giraffe e aratri insieme non funzionano. Patricia Chendi era giraffa, dunque per lei niente aratri, solo praterie e fronde. Patricia Chendi, come tutti, prendeva abbagli e cantonate, perché il mestiere di editore, come la vita, consiste pure in questo.Veniva da un mondo più vasto di quello di molti – di certo del mio – la madre appartiene a una famiglia ebrea alessandrina, la zia di Chendi è la mitica Tania Sachs il cui nome è indissolubilmente legato a Vasco Rossi, tra altri grandi artisti dei quali si occupa e si è occupata, suo marito è Massimo Boffa, cresciuto in Russia, a lungo giornalista di carta stampata (ha diretto le pagine culturali di Rinascita e Panorama). E in questa vastità di provenienze, frequentazioni, incroci stava la particolarità del suo lavoro di editore. Guardarsi intorno.
Autrice alla fine degli anni Novanta di una fortunata serie, pubblicata da Mondadori, con protagonista Siddharta, Chendi, studentessa anarchica della scuola ebraica di Milano, meditava, faceva yoga, soprattutto ascoltava e raccontava storielle che volevano essere esortative ed erano tragiche. O viceversa. Occhi color acqua di lago e accento milanese – che calcava quando voleva sfottersi – indossava volentieri cappelli e pantaloni di pelle. Teorizzava che per i libri buoni bisognava stare al bar, e alle fiere internazionali, fiondarsi a cene e a feste, tirare tardi. Chendi era in grado di trasformare un noioso incontro di sconosciuti, in una festa indimenticabile. Chendi è la persona che, con L’intestino felice, ha messo un gradino, uno zoccolo di legno nei bagni di molti. Io ho imparato da Chendi, l’ho ascoltata, soprattutto le ho voluto bene e ho riso con lei, e ridendo, ho continuato a imparare. Amata da editori e editor, autori e autrici, passanti e frequentazioni risalenti, baristi e accademici, per Chendi è possibile utilizzare quell’aggettivo che in editoria è magnifico: “universale”.
Cioè senza distinzioni tra narrativa, saggistica e generi vari. Chendi è stata universale. Patricia Chendi che ha portato il brio, il gusto, i bestseller, le stranezze, le saghe vichinghe, gli oracoli poetici, Claire Dederer e la serie di Poldark, spero che non si sia riportata – come i bambini possessori di pallone – tutto indietro, e ci abbia lasciato qualcosa del disordine rigoroso e del rigore disordinato che la fece stupenda.
Siamo lieti di annunciare che il romanzo Il pozzo vale più del tempo (Marsilio) di Ginevra Lamberti è stato proposto per la LXXVIII edizione del Premio Strega da Jonathan Bazzi con la seguente motivazione:
«Arrivata al suo quarto romanzo, Ginevra Lamberti si spinge sino all’orlo del mondo per come lo abbiamo conosciuto finora e lì traccia un nuovo sentiero, che rimette in circolo il potenziale conoscitivo della fiaba, del mito, del folklore. Ibridando, con coraggio e sensibilità, l’indagine storica con la distopia, ne Il pozzo vale più del tempo, l’autrice dà vita a un racconto originalissimo e fascinoso che punta tutto sugli strumenti conoscitivi propri dell’invenzione letteraria, per materializzare le conseguenze, perturbanti e poi tragiche, della volontà di potenza che tutto desidera e dunque devasta.
Collasso ambientale, migrazioni per la sopravvivenza e lotta per le risorse sono i presupposti di un romanzo che, esplorando le previsioni ancora oggi in buona parte ignorate dal potere, accetta la sfida di pre-sentire il futuro, e lo fa dal punto di vista, preciso e commovente, dell’infanzia violata, dei suoi simboli e giochi. Che tutto questo avvenga riconciliando contemporaneità e immaginazione, intuizioni sul presente e autentica sapienza narrativa, è il piccolo miracolo di questo libro libero e personale, che propongo con gioia all’attenzione del Comitato direttivo e degli Amici della domenica.»
Qui la scheda del libro